Non solo burga. Chi di noi non ricorda di essersi rotto la testa a scuola sulle equazioni? Quale ingegnere dimentica lo studio dei logaritmi? Donde derivano gli astrusi termini che abbiamo incontrato nello studio delle formule algebriche? E la stessa “algebra” cosa significa? Abbiamo tentato di rispondere a tali domande, chiamando in causa il greco antico (altra rottura di capoccia), forse si è pensato a Newton, alla calcolatrice di Blaise Pascal. Nulla di maggiormente errato: il mondo ellenistico c’entra, ma solo come strumento di mediazione, Newton e compagnia cantando esulano del tutto dal quesito. La soluzione risiede nel mondo arabo, a torto oggi identificato con il solo terrorismo e il burga.
Nel tardo Medioevo di derivazione scolastica, gli studi matematici e astronomici si limitavano a nozioni dedotte da trattati di poesia a carattere pseudo-scientifico con l’effetto che, a partire dal sec. V d.C., il contributo bizantino e dell’Occidente di lingua latina allo sviluppo di siffatte discipline risultasse assai circoscritto. La rinascenza delle ricerche scientifiche si verificò dopo il sec. VII, allorche gli arabi entrarono in possesso di una gran quantità di opere greche conservate nelle biblioteche della conquistata Bisanzio e, nei centri di Damasco e Baghdad, diedero mano alle prime traduzioni, sintesi e commenti sugli scritti di Archimede, Euclide, Erone, Diofanto, Tolomeo. Allo studio del patrimonio antico si legò una fiorente attività di analisi, che sarebbe durata forse fino al Rinascimento se non vi fosse stato l’incidente delle Crociate. Tuttavia, verso la fine del 1300 si fa risalire l’ingente operazione di tradurre dall’arabo in latino le opere antiche ritrovate, commentate e ampliate: ciò soprattutto grazie a intellettuali di formazione bilingue quali, solo per citarne qualcuno, Gherardo da Cremona, Abelardo di Bath, Giovanni di Siviglia. Tramite la loro dedizione, l’Occidente europeo si assicurò la conoscenza di buona parte di quanto inesorabilmente distrutto dalle devastazioni avare, gote, longobarde e unne; e iniziò la produzione dei primi studi originali, come quelli di Leonardo Fibonacci (per intenderci, il teorico della “proporzione aurea”), erede della cultura arabo-ellenistica.
Sterminato risulta l’apporto scientifico donatoci dagli arabi, i quali diedero origine anche alla metodologia e al suo lessico. La prosecuzione degli studi sul calcolo di Diofanto effettuata da Al-Khuwārizmi (780-850) condusse alla soluzione delle equazioni di secondo grado e all’invenzione del logaritmo, dal nome del citato matematico arabo, mentre il suo scritto Al gahr wal muqabalah, generò i termini di “algebra” e di “cabala”. In particolare, un suo trattato di aritmetica, tradotto in latino 300 anni più tardi, con il titolo Algorithmi de numero indorum, introdusse in Occidente lo “zero” (“sifr”), definito “circulum parvulum”, nonche le c.d. “cifre indiane”, oggi conosciute come i “numeri arabi”, che sostituirono i caratteri matematici latini. Enorme importanza venne riconosciuta all’astronomia (qualche minima nozione si rendeva obbligatoria a qualunque musulmano per orientarsi in direzione de La Mecca) e dell’astrologia: la quale ultima – poiche basata sulla convinzione che i corpi celesti influissero sul mondo sublunare – rappresentava un insostituibile strumento per l’esercizio della scienza medica. Lo studioso Al-Battani (858-929) realizzò molte tavole astronomiche munite di spiegazioni che, tradotte in latino nel sec. XII, permisero di sistemare i pianeti sugli oroscopi; lo scienziato approfondì quindi le teorie di Eratostene circa la misurazione della circonferenza della Terra, attraverso il calcolo innovativo dell’obliquità dell’eclittica, la durata delle stagioni e dell’anno solare: un errore però lo commise anche questo fecondo scienziato arabo, giacche gli studi contemporanei hanno accertato che egli aveva calcolato quelle durate esagerando di ben 24 secondi!
Il matematico Al-Birūni (973-1048) non fu da meno dei suoi compatrioti, studiando la trigonometria applicata alla rotazione del nostro pianeta e al calcolo della latitudine e della longitudine. Ancora, Ibn al-Haytham (965-1039) indagò sui fenomeni della riflessione e della rifrazione, giungendo a scoprire che – contrariamente al pensiero di Euclide e di Tolomeo – l’occhi umano non emetteva raggi, bensì li rifletteva. Tale fu la stima di cui egli godette che il suo ponderoso trattato di ottica, tradotto in latino con il titolo Opticae Thesaurus, costituì il testo fondamentale nei corsi di oculistica impartiti in tutte le università europee fino a tutto il sec. XVI. Per comprendere la profondità scientifica di Ibn al-Haytham, si pensi al più celebre dei quesiti formulati dallo studioso nella citata opera: si tratta dell’individuazione del “punto di rifrazione” della luce su uno specchio sferico, su cui si sono lambiccate il cervello le migliori menti del tempo: finche arrivò Leonardo da Vinci, il quale studiò, misurò, verificò, riprodusse e alla fine … non concluse un fico secco. All’eredità dei testi è doveroso aggiungere le invenzioni. A parte l’astrolabio, la sfera armillare, gli osservatori astronomici, i modelli planetari non sono frutto della scienza europea, bensì di quella araba.
Cari studenti, illustri ingegneri! Ora quando si parla di algebra e logaritmi sapete con chi ve la dovete prendere.