Quanta bellezza racchiusa dentro un disco che al potere evocativo di una musica dai bordi e dalle smagliature antiche, mescola anche il fascino della storia, di vite realmente esistite, di grandi gesta a firma di altrettanti grandi piratesse del passato. Sono gli Out of the Blue, ovvero da una parte il suono e la scrittura di un grande producer e polistrumentista come Giovanni Pollastri e dall’altra l’incanto vocale di Annie Saltzman Pini, nata a New York City, che ha saputo interpretare il carattere e lo spirito di queste donne. Parliamo di “Pirate Queens” e di questo disco che mescola rock, colori Irish, tinte progressive e molto della tradizione folk… l’America non è proprio vicina ma la terra promessa sicuramente si.
Ci incuriosisce davvero il momento e la ragione che fa nascere un disco che parli di piratesse. Ce lo raccontate?
Giovanni: Quando scrivo musica mi piace sempre proporre qualche cosa che altri non hanno ancora fatto. Non è sicuramente facile, ma basta attendere la giusta ispirazione. Ascoltando ‘Rogue Gallery’, un album prodotto da Johnny Depp e Gore Verbinski, che ha diretto i primi due film de ‘I pirati dei Caraibi’ mi sono chiesto se siano mai esistite donne pirata. Una veloce ricerca su internet mi ha aperto un mondo! Nel giro di pochi minuti ho mandato un messaggio a Annie Saltzman, con cui avevo già lavorato in passato e le cui caratteristiche vocali sarebbero state perfette. Mi ha risposto da una baia del Massacchusets, proprio mentre stava scendendo da un vascello pirata per una gita pomeridiana! Di fronte a lei c’era un museo dedicato ai pirati e ha subito acquistato un libro sulle piratesse. Una coincidenza che ci ha fatto capire che avremmo dovuto portare avanti il progetto!
Che poi diviene facilmente un disco che alla donna deve molto… deve quella lotta e quel rispetto che oggi manca tanto o sbaglio?
Annie: Effettivamente ero proprio ‘on the dock of the bay’ dopo un bellissimo giro in barca quando ho ricevuto il messaggio da Giovanni. Mi sono chiesta se fosse un genio o solo un po’ matto dato che il modo in cui conosciamo il mondo della pirateria, a volte un po’ romanticizzato, non ha nulla a che fare con la realtà che viviamo tutti i giorni. Erano forse solo brutali tagliagola o c’erano effettivamente delle qualità redentrici nel loro ruolo? Mi sono detta che ne sarebbe valsa la pena anche solo provare a studiare le loro vite per cui ho passato mesi nel cercare informazioni e mi si sono spalancati gli occhi. Erano veramente toste, ognuna con il proprio carattere e la propria storia ma il denominatore comunque era il mondo in cui vivevano, dominato praticamente dagli uomini. Avevano pochissime opportunità di emergere, non c’era molta speranza. Ho voluto scrivere la colonna sonora della loro vita in maniera da dare una voce alle loro cause, alle loro storie.
E rovistando nella storia, quanto passato resta attuale oggi?
Giovanni: Il passato ci fornisce sempre materiale utile, la storia ci insegna molto, anche se poi facciamo un po’ sempre gli stessi errori. L’arte è comunicazione, per cui, per quanto ci riguarda, utilizzare temi del passato che possono essere utili a comprendere meglio il presente è un buon modo di sviluppare un contenuto, che poi artisticamente proponiamo con la nostra musica e i nostri testi.
Non siamo legati a un genere di tendenza, così come non ci interessa un discorso di classifica o di airplay radiofonico, ne siamo molto ben consapevoli. Se con la nostra musica riusciamo a trasmettere un contenuto che ha avuto importanza nella storia dell’uomo e che ancora oggi ha un valore nella società odierna, allora ci riteniamo soddisfatti e contenti di aver proposto qualche cosa di interessante per chi ci ascolta.
E parliamo dei suoni: epici e favolistici. Come sono stati pensati?
Giovanni: Musica e testi vanno di pari passo in questo disco. Musicalmente parlando ho voluto contestualizzare sonoricamente, dove possibile, le storie delle piratesse. Nell’album puoi sentire influenze celtiche, medio-orientali, caraibiche o bretoni, a seconda della piratessa di cui stiamo parlando. In ‘Anne Bonny’, brano di apertura e primo singolo estratto dall’album, è palese il riferimento alle sonorità irlandesi, e questo ci permette di portare l’ascoltatore in un ambiente il più vicino possibile alla storia della piratessa. In altri brani ho aggiunto suoni della natura, suoni che hanno a che fare con il mondo dei pirati per cui spade, catene, boccali di rum, risate, onde, vento, tuoni, cigolio del legno, gocce d’acqua, tutto ciò che serve per creare un immaginario nella testa dell’ascoltatore e “portarlo sul vascello” con noi.
Annie: Mi sono immedesimata in ogni piratessa di cui abbiamo parlato. Ho chiuso gli occhi una volta finito di leggere le loro storie e ho lasciato che le melodie e le parole uscissero spontaneamente dalla mia mente. Ho cercato fortemente quella potente voce interna che mi permettesse di entrare nel ruolo e di rappresentare la loro passione e le loro difficoltà. Nulla di tutto ciò che avevo fatto fino a quel momento.
Un disco che troviamo anche in formato fisico? Avete pensato a qualche release particolare?
Giovanni: Per ora devi “navigare” sul web per ascoltare i nostri brani… d’altronde stiamo parlando di pirateria
Sicuramente più in là nel tempo realizzeremo anche la versione in formato fisico, ossia Cd e Lp, e magari ci saranno edizioni comunque particolari, in maniera da dare una ulteriore contestualizzazione al progetto. L’intenzione è quella di creare un rum, il “Pirate Queen” appunto, da dedicare proprio alle donne, e a quel punto la musica diventa un contenuto complementare: mentre ascolti l’album sorseggi un buon bicchiere di Pirate Queen, oppure vieni al concerto e mentre ci senti suonare ti viene offerto il rum appositamente creato per “farti salire a bordo”. Come ti dicevo, l’ideale è sempre creare progetti che nessun altro ha ancora sviuppato.