“Guardami dentro gli occhi, gli occhi che erano bambini…” (Roberto Vecchioni)
Ritarda un poco come al solito perché ha delle faccende da sbrigare. Quando arriva andiamo di corsa alla pizzeria Belindo, che è fuori mano, dall’altra parte della città, alle fornaci Braccini. Il personale è gentile, affabile, preparato, simpatico. È presto, ma è già affollata, c’è già gente. Ci sono ancora dei posti liberi, il resto è tutto prenotato. Scelgo io il posto. Prendo una pizza prosciutto cotto e funghi perché se una pizza è buona la sento con quei gusti. Lui si fa consigliare e prende una pizza farcita e più elaborata, con più ingredienti, tra cui la cipolla e poi non so bene. L’attesa è breve. Mi guardo intorno e non conosco nessuno. Parliamo con leggerezza dei nostri conoscenti e del passato. Poi il discorso scivola sul sesso e io dico che tutta la vita gira intorno al sesso o alla sua assenza. Poi parliamo dell’amore. Lui mi dice che forse non so che cos’è l’amore. Io gli accenno che il senso dei miei sedici anni è sfuggito via con una ragazza che mi ha detto no e se n’è vantata con le amiche, che il senso dei miei venti anni l’ho perduto totalmente insieme a una ragazza di cui ero follemente innamorato e si è sposata e ha fatto figli con un altro e che ora nemmeno si ricorda più il mio nome, che il senso dei miei trent’anni è sfuggito irreprensibile con una che mi ha preso in giro, che si è divertita sessualmente con molti e poi si è sposata con un altro. Gli rispondo che l’amore è un sentimento universale, la cui fisiologia e la cui neurochimica sono ben note, ma forse, quasi sicuramente io non ho mai provato che cos’è l’amore. Ma non c’è nessuna polemica perché io e Lele ci conosciamo da una vita e non abbiamo mai litigato in quasi cinquant’anni. E poi aggiungo che il voler bene è fatto di presenza, mentre l’innamoramento è costituito da un’assenza o da più assenze. La pizza è buona, è leggera, la digerisco bene. Il rapporto qualità-prezzo è buono. Pago il conto perché è il suo compleanno. Ho speso poco. Usciamo fuori. Piove a dirotto. Facciamo qualche centinaio di metri a piedi e ce ne freghiamo della pioggia. Giriamo per la città in macchina. Andiamo in un bar, uno dei pochi aperti. Bevo qualcosa. Troviamo un tale che si mette a raccontare la sua storia. Sicuramente ha un suo vissuto. Gli racconta e gli sussurra piano all’orecchio chissà quali segreti, che io non devo assolutamente sentire. Vuole presentare a Lele sua nipote, ma lui risponde che è già sposato. Non finisco neanche di bere. Lascio la bibita a metà. La barista chiude il locale. Io gli dico che tutti abbiamo la nostra storia da raccontare e che nessuno è perso fino a quando ha la sua storia da raccontare. Andiamo verso la macchina. Piove ancora. Siamo stanchi di passeggiare sotto la pioggia. Andiamo sotto i loggiati dove ci sono i tavolini di un bar già chiuso. Lui si mette a rispondere a dei messaggi che non aveva ancora letto su Facebook. Poi ci mettiamo a parlare di nuovo del passato. Ogni tanto gli dico che guardo dei video su Facebook in cui ci sono le spiagge brasiliane e mi viene a mente la canzone “La ragazza di Ipanema”. Bisognerebbe fare come ha fatto Dario. Sempre per rimanere in tema canzonettisco gli dico che come cantava Battiato ci vorrebbe un’altra vita e invece per dirla alla Lucio Dalla sono come un Marco senza Anna, con poca vita e sempre quella; la verità è che tutte le volte che mi vedono giù di tono in casa mi dicono se non è meglio chiamare lo psicoterapeuta e che prenda degli antidepressivi. La verità è che il miglior antidepressivo sarebbe una scopata e non ho nessuna che ci sta e che non ho neanche 100 euro per andare con una escort. Piove e osserviamo delle infermiere che hanno finito di lavorare e vanno verso casa. Conveniamo tutti e due che oggi con le offerte sconto che ci sono basterebbe prendere un treno a lunga percorrenza e girare l’Italia. Invece giocoforza rimaniamo in questa provincia asfittica.
Lui mi dice che un tempo io avevo la reputazione di uno scaltro, che si trombava tante ragazze. Gli dico che una volta Dario si lamentava con me perché non avevo una morale e andavo con troppe ragazze. E pensare che ora Dario fa sesso con tre ragazze per notte in Brasile. Ma gli dico anche che a 16-17 anni mi avevano diffuso la voce che ero gay in tutta Pontedera e mi avevano fatto terra bruciata, che le ragazze non volevano mettersi con me per non rovinarsi la reputazione. Lui mi dice che gira voce che le bolognesi sono brave a fare certe cose, ma aggiunge che non è mai stato con una bolognese. Io gli confermo che è vero perché sono stato con delle bolognesi. Ma aggiungo anche che certe notti fredde passate a camminare sotto i portici a cercare una donna e poi stare ad aspettare tutta la notte il primo treno dell’alba utile non vorrei riviverle mai più. Lui risponde che almeno io ho avuto le mie esperienze. Io gli dico che lui ha una moglie, una relazione stabile e io sono solo e coi ricordi non mi ci faccio neanche più le pippe e certe avventure da una sera e via lasciano solo un senso di vuoto. Ormai sono un omunculo solo e attempato. Poi ci mettiamo a parlare di quanta gente abbia tante donne. La verità gli dico io è che le belle ragazze vanno con i bei ragazzi e io non sono più un ragazzo e non sono mai stato bello. Aggiungo che un tempo quando gli italiani erano meno alti di ora, quando avevo 32 denti, tutti i capelli e nemmeno un filo di pancia qualcuna potevo cuccarla anche io. Ma si parla di 30 anni fa. Oggi non più. Allora lui per tirarmi su il morale mi risponde che ci sono uomini messi peggio di me con tante belle donne. Così io controbatto che costoro hanno tutti una posizione, hanno quella che Pavese chiamava la luna nel pozzo e io non ce l’ho. Poi però dico che tutto ciò mi ricorda il verso di una poetessa bolognese, mia cugina di secondo grado, che si suicidò perché era stata lasciata dal marito e scrisse che la donna per cui l’aveva lasciata “non era in niente migliore di me”. Forse chi ha una donna qui a Pontedera non è in niente migliore di me o forse sì oppure forse il problema non sta in questi termini. Forse nessuno è migliore di nessuno e questo non vuol dire che siamo tutti uguali. Andiamo verso la macchina. È ancora presto. Piove ancora. Gli telefona sua moglie e gli dice di non fare tardi perché si è scordato le chiavi di casa, che lei è stanca, vuole giustamente dormire e che lo aspetterà. Mi accorgo che il senso dei cinquant’anni potrebbe stare tutto in una donna che ti aspetta a casa. Oppure forse no. Mi porta a casa. Ci salutiamo. Tutto quello che provo dopo una serata così è un profondo senso di gratitudine per Lele. Qualche persona ogni tanto mi dice o mi scrive che io scrivo cose rispettabilissime. Ma aggiungo io che a una certa età bisogna essere persone rispettabili e io non lo sono, perché la luna in fondo al pozzo non ce l’ho.
(2023)