«Il titolo della raccolta di Donatella Cheri si ricollega alla sua poetica: una leggerezza di fondo che permette di affrontare i problemi con una certa serenità. Questo non significa dimenticare la serietà di situazioni e drammi esistenziali, ma reagire consapevolmente di fronte alle difficoltà, quasi, a passo di danza».
E’ nella Prefazione di Alessandro Quasimodo che scopriamo il senso dell’originale titolo “Pappagallini brillanti”, l’opera edita da Aletti, pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia”. Si tratta del secondo libro, dopo “Il ladro di peperoni” (2019).
L’autrice è Donatella Cheri, insegnante di Letteratura e Storia in un noto liceo fiorentino e Maestro di flauto traverso. La poetessa vive, infatti, a Firenze, in pieno centro storico, tra un brulicare di turisti e vecchie botteghe, nella stradina che – ricorda la stessa Cheri – fu di Vasco Pratolini in “Cronache di poveri amanti”.
L’opera è suddivisa in tre sezioni: “Riflessioni riflesse”, introdotta da una poesia di Giuseppe Ungaretti (Ho sognato stanotte una piana striata d’una freschezza/In veli varianti, d’azzur’oro alga); “Mestieri” (dal nuotatore al pescatore; dal poeta al giornalista, all’infermiere al buon conduttore tv…); “Giochi di bambina” (Leggera, immersa nel tuo fingere e incurante del mondo intorno a te, piroetti ignara in un mare d’amore – “Bambina ballerina”). Nei versi, l’ispirazione viene dalla natura, dall’umanità, spesso sofferente, dalla città in cui l’autrice vive, dalle persone che frequenta, dalla cultura.
Lo stile poetico è caratterizzato da brevità, concisione, asciuttezza. «Levigo le parole, limo il marmo». «Tramite sostantivi, aggettivi calibrati e scelti con perizia – scrive Alessandro Quasimodo nella Prefazione – emerge il silenzio spettrale dei lunghi mesi di lockdown. Non a caso, l’autrice afferma che ridurre all’essenziale è compito della poesia: “Sfrondare i rami,/ ridurre all’essenziale/ l’inutile impalcatura/ oltre la quale tutto è/ sovrastruttura pesante..” Si avverte l’amore per la concisione e per Ungaretti, che ha saputo concentrare il profondo significato di vocaboli e concetti in pochi tratti densi di connotazione».
«La scrittura poetica – racconta l’autrice – non è stata un sogno nel cassetto, viceversa una meravigliosa rivelazione, una “secchiata d’amore” in un giorno di vacanza di qualche anno fa. Fino ad allora non avevo mai scritto versi… e da quel giorno i versi si sono “liberati” e non mi hanno mai lasciata». La poesia diventa, così, un messaggio che si presenta osservando la realtà, con dedizione e curiosità. Nasce all’improvviso, in momenti e luoghi improbabili.
«L’urgenza di scrivere mi rapisce – afferma la scrittrice -. Si tratta di un momento fugace, che nasce da un’esperienza forte, un contatto, una scintilla che innesca l’incendio. Vorrei trasmettere, con le mie poesie, l’appartenenza ad un’unica specie-speciale, come quella umana. Mi incuriosiscono le abitudini, le ricorrenze, gli archetipi comuni fra popoli anche lontani. Vorrei trasmettere la musica, come messaggio di attesa misurata, d’armonia con gli altri. Infine, la leggerezza di una vita spesa e attesa… sempre, anche nei momenti difficili».
Federica Grisolia