Quando Europa e Africa si incontrano accadono grandi cose – Maria Pia de Vito e il Burnogualà Large Vocal Ensemble si sono esibiti a metà mattina al Teatro Navalge di Moena davanti ad un pubblico numeroso. Il progetto “Moresche e altre invenzioni” proposto della jazzista e sperimentatrice napoletana è stato un viaggio armonioso e intenso in quella vivace cultura mediterranea che scaturisce dall’incontro tra Europa ed Africa
Chiunque abbia visto architetture e urbanistica di Napoli ha avuto la percezione di trovarsi di fronte a quella che un tempo era veramente una capitale europea. Più o meno la stessa sensazione avuta dal folto pubblico dei Suoni delle Dolomiti che oggi ha assistito al concerto di Maria Pia De Vito e il Burnogualà Large Vocal Ensemble, con l’unica nota stonata di doverlo ascoltare all’interno del teatro Navalge di Moena per l’impossibilità di svolgere regolarmente l’Alba delle Dolomiti a causa della pioggia.
Una capitale europea dunque e lo si capisce subito in quello che forse è il manifesto poetico di questo progetto, “Alla lafia calia” che mescola voci di animali, rumori, chiacchiere e roboanti discussioni da piazza di mercato così come frasi in un dialetto napoletano storpiato – da chi l’aveva dovuto imparare come lingua straniera o dal tempo? – o nella lingua kanuri, parlata un tempo come oggi nell’aria nilo-sahariana.
È il Mediterraneo, collante primordiale di molteplici culture, è l’Africa che incontra l’Europa lungo la rotta libica che portava ai nobili partenopei schiavi dell’Africa subsahariana. Da questo incontro e dalla straordinaria indagine di uno scrittore come Orlando di Lasso – quasi un etnografo ante litteram – nasce il materiale usato dalla jazzista e sperimentatrice Maria Pia De Vito per dare vita al progetto “Moresche e altre invenzioni” assieme all’ensemble Burnogualà.
Sono giochi, bisticci, invenzioni in cui la musica incontra la rappresentazione dietro le quali si nascondono le vite, i sentimenti, gli stratagemmi degli uomini che devono sopravvivere all’avversa fortuna e cercano l’amore. Tornano spesso nomi femminili nelle canzoni: Lucia, Catalina, Georgia. In realtà quest’ultima è un uomo e lo scopriamo solo verso la fine dell’esibizione quando nel brano “Canta Giorgia canta”, si comprende che il rifiuto di cantare deriva dalla paura di tradirsi. Le altre sono ovviamente canzoni anche d’amore, casto e salace insieme come in “Hai, Lucia” o in “Lucia, celu” fino al provocante duetto tra voce maschile e femminile di “Lucia, miau miau”.
In scena tra melodie, interruzioni, contrattempi che scatenano il perfetto vociare di discussioni vivaci tra la folla, c’è spazio anche per incantevoli assoli di Maria Pia De Vito come nel secondo brano “Lafia Calia”. O per virate decisamente africaneggianti grazie anche alla presenza in scena di Ousman Koulifali, griot e suonatore di kora che spesso con la sua voce e le sue note dona ritmo e malinconia all’insieme giocoso. Soprattutto quando si ritrova a cantare, in “Catalina apra finestra”, quanto sia difficile viaggiare e fare il griot da quando gli stati hanno creato i confini. Lasciando intendere così la straordinaria funzione di veicolo di storia e notizie che un tempo avevano cantastorie e poeti.
Un viaggio vero e proprio in un mondo contaminato, eppure armonioso, come quello mediterraneo capace di catturare e influenzare anche chi proveniva dal lontano Nord, cosa che accadde ad esempio con Adrian Willaert arrivato a Napoli dalle Fiandre, restandone catturato e travolto come dimostra la danza “Vecchie letrose” con cui Maria Pia de Vito e compagni hanno salutato tra sentiti applausi il pubblico.