Roberto Benatti ci racconta il “suo” Don Carlo, una delle opere più dark che esistano. L’intervista

L’opera che inaugurerà la stagione 2023/2024 del Teatro alla Scala è probabilmente una delle opere più dark che siano mai state scritta: il Don Carlo di Giuseppe Verdi.

Se Carlo V vantava un impero dove il sole non tramontava mai, be’, ascoltando Verdi pare che Filippo II, il figlio, avesse più appropriatamente ereditato un impero dove il sole non sorgeva mai.

Roberto Benatti, cantautore che ha esordito lo scorso ottobre con il suo album Aspettando Ribot, è anche contrabbassista dell’orchestra della Scala, e in questo episodio delle Situazioni di Contrabbasso, attraverso il racconto del ruolo del suo strumento, re dei registri cupi, ci introduce alcuni aspetti chiave del capolavoro verdiano che potremo tutti ascoltare il 7 dicembre.

Noi lo abbiamo intervistato!

  1. Come mai dici che Il Don Carlo è tra le opere più dark che siano mai state scritte? Cosa la rende dark? 

Il Don Carlo è un’opera terribilmente, direi paurosamente cupa perché Verdi ha voluto rappresentare con tutte le tinte scure consentitegli dall’orchestra (a partire da noi bassi!) un periodo storico dove dominava l’oscurantismo e dove il fanatismo stendeva una cappa plumbea sopra gli slanci vitali che pure animavano i protagonisti della sua storia. Avvengono anche cose tremende, come un autodafé e un dialogo tra Filippo II e il grande inquisitore, durante il quale quest’ultimo convince l’imperatore a condannare a morte Don Carlo, suo figlio. Dark, molto dark, pure troppo! 

  1. E come mai, secondo te, è stata scelta come apertura della nuova stagione del Teatro alla Scala?

Credo che Chailly avesse desiderio di portare la sua interpretazione del Don Carlo in Scala, a lui che da noi ha diretto tantissimo Verdi mancava ancora questo capolavoro assoluto. 

  1. Abbiamo osservato con piacere alcuni tuoi video. Quando hai sentito l’esigenza e la voglia di condividere ciò che sapevi su alcuni capitoli così importanti della storia della musica?

Durante la pandemia. In quel periodo la nostra attività era completamente ferma. Da tempo pensavo a mettere in piedi il progetto delle Situazioni di Contrabbasso, e farlo durante la pandemia mi ha aiutato a continuare a dedicarmi alla mia professione senza cadere in una sterile inoperosità.

  1. E quando, soprattutto, hai capito di essere un cantautore?

Quando io e la mia compagna Silvia abbiamo iniziato a convivere. In quel periodo abbiamo cominciato a suonare moltissimo insieme e lei, che canta splendidamente, mi ha aiutato moltissimo con il canto; prima di allora avere un enorme blocco con la voce. Grazie a Silvia ho imparato ad utilizzarla in modo espressivo e da lì a scrivere canzoni, per me che ho sempre amato le parole in musica, il passo è stato brevissimo. 

  1. Hai mai sentito queste due anime, quella del cantautore e quella del musicista classico, in competizione?

Devo dire di no: anzi sono due percorsi che sono perfettamente complementari, la passione per l’uno alimenta quella per l’altro; non mi sono mai divertito a suonare il contrabbasso tanto come in questo periodo nel quale ho cominciato questa nuova avventura. Suonare in orchestra mi fa sentire l’esigenza di sonorità più intimistiche così come cantare spesso da solo sul palcoscenico con la sola chitarra mi fa tornare in orchestra godendo del suono pieno di cento strumentisti che suonano insieme. Ciò che mi manca, in realtà, è solo il tempo di godermi di più queste due vite musicali! 

Articolo precedenteSculpitrici di capriccioso e destrissimo ingegno, la mostra di Lynda Benglis e Properzia de’ Rossi al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Articolo successivoProseguono le selezioni del Premio Cesa: in viaggio per l’Italia