Steve Jobs, il genio non buono che ha cambiato la vita di tutti

Steve Jobs, il genio non buono che ha cambiato la vita di tutti – Un genio, ma non un «buono». Steve Jobs non aveva comprensione per chi lavorava con lui. Sono noti i licenziamenti in tronco fatti in ascensore, dove nei pochi secondi che separano un piano dall’altro rischiavi di ritrovarti con la tua vita nuovamente tra le mani: una iattura per la maggior parte degli esseri viventi; una nuova occasione, per come Jobs intendeva il mondo. D’altronde per chi ha come paradigma la morte («Ricordare che morirò molto presto è stato lo strumento più importante che ho avuto per aiutarmi a fare grandi cose») e ha iniziato la vita come «bimbo non voluto» (fu adottato) non contano molto né i soldi né un lavoro sicuro. Più importante è inseguire un’idea e trasformarla in realtà, per poi abbandonarla e seguirne un’altra finché il fiato lo consente.

 

 

È così che è nata la Apple, partendo come da tradizione in un garage. Per finanziarsi, Jobs vende il suo pulmino Volkswagen a Wozniak – suo socio, già collega in Atari – la propria calcolatrice : è il primo aprile del 1976. È così che ha creato la Pixar, capolavoro di azienda per realizzare animazioni, una volta defenestrato dalla Apple.

 

Steve Jobs valeva oltre un milione di dollari quando aveva 23 anni e oltre 10 milioni di dollari quando aveva 24 anni, e più di 100 milioni di dollari quando ne aveva 25. Ora, a 56 anni, ha lasciato un patrimonio personale di circa 8 miliardi di dollari. Nulla a confronto di ciò che ha lasciato in termini di tecnologia e di modo di intendere il futuro.

 

Jobs combatteva contro il cancro al pancreas dal 2004 e si era sottoposto a trapianto di fegato nel 2009, dopo aver preso un periodo di distacco dall’azienda per problemi di salute. Lo scorso gennaio aveva preso un altro periodo di pausa dal suo incarico di amministratore delegato di Apple e, ad agosto, si è ufficialmente dimesso, diventando presidente e lasciando il posto di ad a Tim Cook.

 

Dalla notizia della morte, fuori la sede di Apple a Cupertino, tre bandiere (una degli Stati Uniti, una della California e una dell’azienda) sventolano a mezz’asta.

 

«Chi di noi è stato abbastanza fortunato da conoscere e lavorare con Steve – ha scritto Cook in una email ai dipendenti di Apple – ha perso un caro amico e un mentore ispiratore. Steve si lascia alle spalle un’azienda che solo lui avrebbe potuto costruire, e il suo spirito rimarrà sempre il fondamento di Apple».

 

Il nome di Steve Jobs è sinonimo di innovazione, perfezione, successo. Ma la vita del padre di Apple – così come la morte – non è certo lastricata solo di belle cose. Steve nasce il 24 febbraio 1955 a Green Bay, California da Joanne Carole Schieble e Abdulfattah “John” Jandali, i quali, essendo ancora giovani studenti universitari, lo danno in adozione quando è ancora in fasce.

 

 

Trascorre un’infanzia normale, tutto sommato, fino alla prima delusione: l’abbandono degli studi. Poi il successo targato Apple, e immediatamente dopo il baratro del licenziamento. Poi ancora la rinascita, e infine quel maledetto cancro al pancreas contro il quale non c’è stato nulla da fare. «Stay hungry, stay foolish» («Siate sempre affamati, continuate a essere un po’ folli») disse in un famoso discorso agli studenti neolaureati di Stanford, dopo aver già saputo della malattia. Rischiare, scegliere la sfida piuttosto che la comoda normalità, la certezza che la follia rappresenti la strada giusta. L’etimologia della parola “folle” rinvia al latino follis che significa “vescica, sacca gonfia d’aria», e da lì il dispregiativo di testa vuota; il genio di Cupertino ha rovesciato persino la semantica, dove il vuoto del folle è lo spazio libero per poter creare; per dirla con Shakespeare «C’è del metodo in questa follia» (Amleto).

 

 

 

Il giorno dell’addio gli hanno reso onore tutti. Dal presidente degli Stati Uniti all’altro giovane genio dell’informatica: «Grazie per essere stato un mentore e un amico. Grazie per aver dimostrato che ciò che tu costruisci può cambiare il mondo. Mi mancherai», ha scritto Mark Zuckerberg sulla sua pagina di Facebook. Gli hanno reso onore persino agli astronauti della Iss, la Stazione Spaziale Internazionale. Google l’ha omaggiato inserendo sulla sua homepage un link con nome e date di nascita e di morte. Jobs è stato un «profeta» che ha cambiato prima il nostro modo di intendere il lavoro, poi la musica, infine la comunicazione e il tempo libero. La prossima sfida era cambiare i paradigmi della nostra comodità casalinga, attraverso una nuova tv e la robotica. D’altronde lo stesso Jobs diceva che «il computer è lo strumento più notevole che abbiamo mai inventato. È l’equivalente di una bicicletta per le nostre menti».

 

Oggi le immagini di Jobs replicate su iPhone e iPad raccontano meglio di qualunque altra cosa ciò che è riuscito a produrre: la creatura ha inglobato il creatore, rendendolo immortale. Steve Jobs si è spento. Non il suo genio.

 

di Angelo Perfetti da Il Tempo

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