Sulle varie forme di scrittura si potrebbe discutere per ore. Nonostante dibattiti accesi non è stata ancora detta, né scritta l’ultima parola sulle varie forme di scrittura. Che differenza c’è tra scrivere poesie e articoli, tra poesie e racconti, tra poesie e aforismi? E cos’è più difficile? Un poeta può essere un buon giornalista e un giornalista può essere un buon poeta? Oppure sono registri linguistici e cose talmente diverse da non poterle minimamente paragonare e neanche accostare? Cercherò di scrivere i miei pensieri sulle varie forme di scrittura, cercando di descrivere le differenze che saltano subito all’occhio. Entrambe fanno parte dell’attività creativa verbale e concettuale. Sulle varie forme di scrittura forse discutere è una questione di lana caprina. Nel caso dell’articolo di cronaca locale lo scrivente non deve tirar fuori il suo estro, ma deve esclusivamente attenersi ai fatti: certamente deve avere una buona padronanza dell’italiano, ma questo vale anche per il poeta o l’aforista. Scrivendo poesie, aforismi, racconti si può dare sfoggio della cultura, si può eccedere in virtuosismi, mentre un giornalista deve essere comprensibile e scrivere per tutti. Questa è una limitazione e allo stesso tempo una difficoltà non da poco. Inoltre il poeta può scrivere quando vuole, può anche aspettare l’ispirazione, mentre il cronista locale ogni giorno deve stare in redazione. Alcuni poeti dicono che loro devono creare ex nihilo, ma questo non corrisponde alla realtà perché hanno alle spalle una tradizione di secoli e secoli. Però è anche vero che carmina non dant panem, mentre quello di giornalista è un lavoro retribuito, pur con tutta la precarietà del caso. É altrettanto vero comunque che gli italianisti sono molto più esigenti nel valutare un poeta rispetto a un caporedattore nel valutare un articolista. Sulle varie forme di scritture si discute e si finisce per perdersi in sottili distinguo. Per svolgere queste attività bisognerebbe avere in teoria buone capacità verbali. Ma la misurazione di un’attitudine in psicologia non è una scienza esatta: va presa con il beneficio di inventario. A questo proposito voglio ricordare un aneddoto. Quando inventarono i cruciverba ci furono alcuni intellettuali che si arrabbiarono, perché li consideravano delle diavolerie, non essendo bravi a risolverli. Non tutti gli intellettuali sono quindi dei buoni enigmisti, fermo restando che la risoluzione dei cruciverba (ne esistono di varie difficoltà: quelli della “Settimana enigmistica” per una persona di buone lettere sono fattibilissimi, a parte quelli delle ultime due o tre pagine che sono impegnativi, spesso per i riferimenti alla storia dell’arte e al cinema del primo Novecento) dipende anche dall’allenamento e dalla cultura e non solo dalle capacità verbali: insomma i cruciverba non sono dei test attitudinali, che dovrebbero essere free culture, almeno in teoria (perché poi nessuna attività umana è free culture). Inoltre scrivere e risolvere test attitudinali sono cose molto diverse: la scrittura è spesso divergente, mentre la risoluzione di test è convergente. C’è anche chi sostiene che sia più importante un buon livello intellettivo e intellettuale complessivo che una grande attitudine in un campo specifico. Inoltre scrivere e parlare sono due cose diverse, anche dal punto di vista neurologico. Essere spigliati e avere una buona oratoria non significa necessariamente saper scrivere e viceversa. Insomma per saper scrivere bisogna saper scrivere e poco o niente è indicativo di saper scrivere e ben poco è correlato significativamente con il saper scrivere. Ci sono persone versatili che sono capaci di scrivere ogni cosa, ma è molto raro. Ci sono altre che passano la vita zigzagando tra un genere e l’altro senza risultati dignitosi. Di solito è già tanto eccellere in una cosa sola. Eugenio Scalfari era un bravissimo giornalista e saggista, ma non un grande poeta. Maurizio Costanzo era un grandissimo giornalista e conduttore, ma non un grande poeta (si vedano a tal riguardo i versi che scriveva sotto lo pseudonimo di Ugo Straniero). Sandro Bondi è un uomo di grande cultura e un politico di primo piano, ma non è un grande poeta. Ogni scrivente dovrebbe cercare di trovare la forma a lui più consona. Non tutti riescono a trovarla. Ci sono alcune persone che si intestardiscono a scrivere poesie per tutta la vita, pur essendo negate. A mio modesto avviso tutte queste varie forme, tutte queste attività possono anche essere dei vasi comunicanti. Ci può essere tra di loro un’interazione feconda, produttiva. Una cosa può ispirare l’altra. Certamente oggi vige un imperativo: bisogna saper fare tutto. E per dimostrare di sapersi cimentare in ogni ambito bisogna mettersi continuamente in gioco, in discussione. Il vero banco di prova per tutti è considerato il romanzo. Uno può essere un articolista, un saggista, un aforista, un poeta molto prolifico, ma deve dare dimostrazione di saper scrivere un romanzo, a costo di far passare come romanzo una concione di dialoghi male assortiti, di flussi di coscienza, di descrizioni raffazzonate. Pochi ammettono di non saper scrivere un romanzo. Molti dicono di non avere tempo, di non avere niente da raccontare, di non credere più in questo genere. Ogni vita è degna di poter diventare un romanzo, come scrive la Kristóf. Però per scrivere un romanzo decente bisogna aver letto tutto Proust e tutto Joyce. Il grande giornalista Luca Goldoni scriveva in un suo libro che non era diventato un romanziere perché da piccolo andava a giocare con gli amici invece di leggere La Recherche. E poi bisogna essere provvisti di un talento non comune, rarissimo! Ma perché il talento di poeti, aforisti, scrittori di racconti, articolisti è molto meno riconosciuto? Sono figli d’un talento minore forse? Ci sono molti romanzi commerciali studiati a tavolino, che sono frutto più della furbizia che del talento. Ci sono gialli che sono frutto più della documentazione e della consultazione di esperti che del talento. Vallo a capire questo crazy world! Ci sono alcuni articolisti che snobbano i poeti e viceversa. Ci sono articolisti che si sentono facenti parte di un’eletta schiera (citando Guccini), perché hanno il tesserino di giornalisti. Ci sono poeti che si considerano chissà chi, perché hanno vinto un premio letterario, magari per niente importante. Spesso vige un patto di non belligeranza tra queste categorie, anche se è ammessa un poco di diffidenza. I poeti cercano spesso favori. Così si tengono in buoni rapporti con i giornalisti locali per avere un trafiletto dedicato alla pubblicazione del loro nuovo libro. Ci sono dei giornalisti, che magari tengono con discrezione nel cassetto o nei loro file word dei versi e vorrebbero essere introdotti nella comunità poetica. Insomma sulle varie forme di scrittura talvolta vincono il consociativismo all’italiana e le pubbliche relazioni: è una cosa che va sempre tenuta presente.