TUBAL-CAIN

TUBAL-CAIN- «Caino conobbe sua moglie, la quale concepì e partorì Enoc … E a Enoc nacque Irad; Irad generò Mehujael; Mehujael generò Methushael e Methushael generò Lamec. E Lamec prese due mogli: il nome dell’una era Ada e il nome dell’altra Zillah … E Zillah partorì anch’ella Tubal-cain, l’artefice di ogni sorta di strumenti di bronzo ».

Fin qui il testo biblico di Genesi 4,17-22 e pertanto nulla di particolare: solo che, confrontando le diverse edizioni dell’Antico Testamento, il fabbro Tubal-cain è descritto lavorare ora il bronzo, ora il rame, ora il ferro.

Nei miei studi sull’ebraismo mi sono sempre chiesto quale potesse essere la corrispondenza tra le ere geologiche così come insegnate a scuola e la reale conoscenza del vero andamento dei fatti conservato dalla sapienza antica.

Vi propongo allora un racconto che ho ritrovato in un apocrifo veterotestamentario databile alla metà del sec. XVI il quale, se non risolve l’enigma, aiuta a porsi qualche domanda in più: ossia, ragionare sull’evoluzione umana.

“Accanto al fuoco giaceva Tubal-cain, gli occhi fissi sugli immobili bagliori incastrati nella piatta massa nera. Fin da bambino era rimasto sedotto da quei punti lucenti e, al pari degli antenati, non era riuscito a capire come facessero a scomparire quando il sole si sollevava da dietro le due vette della grande montagna.

Steso su un fianco, osservò più attentamente la massa nera sempre immobile, ma ebbe l’impressione che i punti luminosi avessero assunto una posizione diversa intorno alla sfera grigia: forse, controllando l’alternarsi del suo sparire e apparire dietro le due cime della grande montagna, avrebbe capito qualcosa di più della massa nera che al mattino diventava chiara e del freddo che cedeva il passo al calore.

Il giorno seguente si destò prima che il disco infuocato scacciasse la sfera grigia e uscì di casa per acchiappare qualche animale confuso dal sonno e dal gelo.

Udì nella valle un secco rumore proveniente da vicino al ruscello e si nascose per sorprendere la preda.

Ma non scorse alcuna bestia, bensì un filo di erba che si era aperto la strada tra il ghiaccio che copriva la terra.

Restò a lungo a contemplarlo, non riusciva a distogliere lo sguardo dal prodigio.

E per non dimenticarlo incise su una parete della caverna sacra le due vette del monte, la sfera grigia e i punti luminosi, il disco di fuoco e il filo di erba tra i ghiacci.

Quando le luci immobili nella massa nera avrebbero assunto la posizione osservata intorno alla luna, l’erba sarebbe spuntata di nuovo.

Tubal-cain riviveva le notti trascorse insieme ai fratelli accanto ai falò che rischiaravano le tenebre ed effondevano calore ad ascoltare stupito i racconti di guerre e caccia narrati dagli anziani.

Il padre gli aveva confidato che prima di loro un antichissimo popolo abitava quelle pianure: una stirpe forte, uomini altissimi, dominatori delle fiamme, terrore delle belve più feroci e gigantesche.

Erano giunti da tanto lontano, portati da nuvole che si spostavano usando la forza del vento; impetuosi torrenti di acqua si rovesciavano dalle cime del monte al loro comando e la terra rimbombava; le tigri dai lunghi denti fuggivano in cerca di salvezza, le foreste restavano mute per parecchi giorni.

Tubal-cain non credeva alle leggende, conosceva solo la fatica del lavoro sui campi e tra gli armenti, lo sforzo delle mani per sagomare le pietre e ricavarne utensili di difesa e cattura di animali da mangiare.

Non accettava l’idea che la sua gente non fosse stata la prima a vivere nelle loro vallate; i suoi simili, era convinto, erano gli unici capaci di lavorare le pietre e incidere sulle pareti delle caverne scene di vita che quasi si animavano al tremolio del fuoco.

Eppure una mattina Tubal-cain raccolse lungo il greto del fiume alcune pietre scure assai più pesanti di quelle conosciute. Provò a sagomarne una, ma neppure riuscì a scalfirne la superficie.

Gli venne in mente di scaldarla ed essa parve ammorbidirsi: e solo dopo tante difficoltà fu in grado di farle assumere la forma desiderata di un coltello.

Contemplò soddisfatto l’opera: l’utensile era più leggero di quelli di pietra. Fece il tentativo di scaldare più pietre e si accorse che unendole diventavano un pezzo unico.

«È un dono degli dèi » – pensò – « o forse qualcosa rimasto dopo la scomparsa del popolo delle nuvole ». E sopportò di buon grado il dolore sulla pelle provocato dalla fusione delle pietre, il bruciore delle mani per forgiare i manufatti usciti dalla fucina ardente, l’irritazione degli occhi per decorarli.

Forse i racconti di suo padre non erano fantasie di un vecchio.

Gli tornò alla memoria quanto da piccolo aveva sentito dalla bocca di Methushael: « … e gli uomini delle nuvole usavano le fiamme per lavorare e affilare le pietre scure … » che egli chiamava nehoshet. Il nonno era convinto che la loro gente discendesse dalla quell’antica stirpe, perché « … quando le grandi nubi si incendiarono e dissolsero in una tenebrosa cenere che avvolse la terra per molti cicli lunari … » un esiguo numero di essi scampò alla distruzione totale. Methushael era l’unico tra gli anziani a raccontare quelle storie e con la morte sua e di Lamec i padri avevano cessato di tramandarla a figli e nipoti, parlando soltanto di caccia e battaglie”.

L’interrogativo su cui sto lavorando è il seguente: è possibile che prima della comparsa dell’homo sapiens sul nostro pianeta vi si siano alternate altre civiltà, forse tecnologicamente più progredite dell’attuale?

Non è ipotizzabile che, dopo la totale distruzione di quella dei nostri futuri discendenti, ne sorgerà una nuova che darà origine a un rinnovato ciclo evolutivo?

Quando avrò trovato la soluzione, ve la comunicherò.

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