XX Festival Verdi Messa da Requiem in memoria delle vittime della pandemia e in diretta streaming
MESSA DA REQUIEM DI GIUSEPPE VERDI
Il Teatro Regio rende omaggio alle vittime della pandemia.
Roberto Abbado dirige la Filarmonica Arturo Toscanini
e il Coro del Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiani.
Interpreti: Eleonora Buratto, Anita Rachvelishvili,
Giorgio Berrugi, Roberto Tagliavini
L’esecuzione, di cui Dynamic produce CD e DVD e cura la ripresa live streaming,
è dedicata a Piero Farulli nel centenario dalla nascita.
Parco Ducale di Parma
venerdì 18 settembre 2020, ore 20.00
domenica 20 settembre 2020, ore 20.00
Diretta streaming
venerdì 18 settembre 2020, dalle ore 20.00
su teatroregioparma.it (online sino al 30 novembre 2020),
12TvParma (canale 12 del digitale terrestre),
Lepida TV(canale 118 del digitale terrestre) e su RadioEmiliaRomagna
Dopo il successo riscosso da Macbeth in apertura del XX Festival Verdi “Scintille d’Opera”, il Direttore musicale del Festival Verdi Roberto Abbado ritorna sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini e del Coro del Teatro Regio di Parma, preparato da Martino Faggiani, per dirigere la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, su partitura nell’edizione critica a cura di David Rosen (The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano), in programma venerdì 18 settembre e domenica 20 settembre 2020, ore 20.00. Solisti Eleonora Buratto (soprano) e Anita Rachvelishvili (mezzosoprano), entrambe al loro debutto dal Festival Verdi, Giorgio Berrugi (tenore), Roberto Tagliavini (basso) L’esecuzione è in memoria delle vittime della pandemia ed è dedicata a Piero Farulli nel centenario della nascita.
Dynamic produrrà il CD e DVD della serata, curando la ripresa in diretta streaming che sarà trasmessa venerdì 18 settembre 2020 a partire dalle ore 20.00 su teatroregioparma.it (ove resterà disponibile al pubblico sino al 30 novembre 2020), su 12TvParma (sul canale 12 del digitale terrestre), Lepida TV (sul canale 118 del digitale terrestre), e su RadioEmiliaRomagna www.radioemiliaromagna.it, canale culturale dell’Assessorato alla Cultura e Paesaggio della Regione Emilia-Romagna. Anita Rachvelishvili figura per gentile concessione di Sony Classical.
“Questa Messa da Requiem rappresenta l’omaggio commosso del Teatro Regio di Parma e del Festival Verdi a tutte le vittime della pandemia – dichiara Anna Maria Meo, Direttore generale del Teatro Regio di Parma e Direttore artistico del Festival Verdi. La musica non cancella il dolore, la sofferenza. È l’abbraccio invisibile e rigeneratore capace di profonda vicinanza e conforto. Commemoriamo con affetto coloro che non sono più con noi e ringraziamo tutti coloro hanno portato e portano ogni giorno il loro contributo per continuare ad affrontare con coraggio e determinazione questa pandemia”.
La composizione della Messa da Requiem (1874), opera monumentale, ieratica, strumentalmente sontuosa, negli anni di raccoglimento che seguirono i clamori dell’Aida, sancisce l’ingresso del compositore nel pantheon degli artisti della neonata nazione italiana, suggellato dalla dedica della composizione ad Alessandro Manzoni e, sul piano stilistico, come spiega Giuseppe Martini nelle sue note, rivela la capacità di Giuseppe Verdi di esprimere “una consapevole commistione fra sentimento della fede ed esperienza mondana. Un’esperienza che qui ha un colore particolare, che sembra davvero pullulare dalle pagine teatrali di Verdi, persino quelle ancora da farsi”.
Le note di direzione di Roberto Abbado rivelano alcune delle riflessioni condotte durante le fasi di preparazione: “Nel Requiem, Verdi non ha paura di mostrare che è terrorizzato dall’idea della morte. Dalle prime quattro misure della Messa, dal primo intervento del coro (la richiesta di darci eterno riposo), fino all’ultima nota del Requiem, c’è un progetto continuativo. Dalla prima parola, che è proprio “Requiem”, fino al “Libera me”: il soprano intona per tre volte “Libera me, Domine, de morte aeterna”. La prima volta, in modo molto drammatico, la seconda, dopo la bellissima sezione a cappella, che riprende la musica dell’inizio della Messa (primo movimento), urla, grida le stesse parole a Dio. E l’ultima volta, proprio alla fine, le sussurra, senza più forze: sono parole svuotate, e non c’è quasi più speranza. Seguono poi due invocazioni mormorate dal coro, “Libera me, libera me”, in do maggiore. E qui arriviamo a un punto importantissimo. Perché il do maggiore è invece è una delle tonalità più luminose e positive che ci siano – è la tonalità della Jupiter di Mozart per esempio, il cui ultimo movimento rappresenta il trionfo della ragione umana; una costruzione meravigliosa, grandiosa, luminosissima, positivissima.
Questa stessa tonalità, Verdi la sceglie per terminare questa messa, in un modo sospeso, senza dare alcuna risposta alle domande espresse lungo l’intera messa. Verdi non sa, dubita. O meglio, forse non sa se dubitare oppure no. La Messa da Requiem termina quindi con un punto di domanda, su questi accordi di do maggiore, con una soluzione grandiosa. Verdi riesce infatti a trasmetterci questo senso di dubbio, pur usando una tonalità così luminosa. E grazie a lui, il do maggiore non sarà mai suonato così incerto e dubbioso, come in questo caso”.
INFORMAZIONI AL PUBBLICO
I biglietti per gli spettacoli del Festival Verdi sono nominativi. L’acquisto può essere effettuato alla Biglietteria del Teatro Regio di Parma, la biglietteria del Festival Verdi sita all’ingresso di Parco Ducale, o sul sito teatroregioparma.it senza alcuna commissione aggiuntiva.
I biglietti acquistati sul sito del Teatro saranno inviati via email all’indirizzo fornito all’atto della prenotazione.
Per poter accedere alla sala sarà necessario stamparli o presentarsi muniti di dispositivo mobile su cui esibire la loro versione digitale, assieme a un documento di identità in corso di validità.
L’unico ingresso al Parco Ducale sarà quello dal Ponte Verdi, ove si trova anche la biglietteria del Festival. Ricordiamo di presentarsi con documento di identità valido e mascherina, senza i quali l’accesso non sarà consentito. La mascherina dovrà essere indossata correttamente coprendo naso e bocca per tutto il tempo necessario al raggiungimento del proprio posto e tutte le volte che lo si abbandonerà.
Per evitare ogni forma di assembramento e per ridurre i tempi d’accesso di ogni singolo spettatore, gli ingressi saranno scaglionati, come richiesto dalle autorità competenti, nel modo seguente:
– settore I presentarsi all’ingresso tra le ore 19.00 e le 19.25.
– settore II presentarsi all’ingresso tra le ore 19.30 e le 19.55.
Il Teatro invita dunque gli spettatori a verificare il settore assegnato e a presentarsi all’entrata nella fascia oraria corrispondente.
Ricordiamo che nella zona prospiciente il teatro all’aperto saranno disponibili la caffetteria, il bookshop oltre alle toilette. Non è previsto il servizio di guardaroba.
Un parcheggio coperto, convenzionato con il Teatro Regio di Parma è presente in Viale Toschi (il ticket del parcheggio potrà essere timbrato nell’apposita vidimatrice all’ingresso del parco e garantirà uno sconto sulla sosta del veicolo).
BIGLIETTERIA DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Strada Giuseppe Garibaldi, 16/A 43121 Parma
Tel. +39 0521 203999
biglietteria@teatroregioparma.it
Orari di apertura
dal martedì al sabato ore 11.00-13.00 e 17.00-19.00
Modalità di pagamento
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I biglietti per tutti gli spettacoli sono disponibili anche su teatroregioparma.it. L’acquisto online non comporta alcuna commissione di servizio.
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Parco Ducale di Parma
venerdì 18, settembre 2020, ore 20.00
domenica 20 settembre 2020, ore 20.00
Durata 1 ora e 30 minuti, senza intervallo
In memoria delle vittime della pandemia
Dedicato a Piero Farulli nel centenario dalla nascita
MESSA DA REQUIEM
Per soli, coro e orchestra
Musica di Giuseppe Verdi
Edizione critica a cura di David Rosen
The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano
- Requiem e Kyrie, a quattro voci soliste e coro
- Dies irae, a quattro voci soliste e coro
Dies irae, coro
Tuba mirum, coro
Mors stupebit, basso
Liber scriptus, a una voce solista (mezzosoprano)
Quid sum miser, a tre voci soliste (soprano, mezzosoprano, tenore)
Rex tremendae, a quattro voci soliste e coro
Recordare, a due voci soliste (soprano e mezzosoprano)
Ingemisco, a una voce solista (tenore)
Lacrymosa, a una voce solista (basso)
III. Offertorio, a quattro voci soliste
- Sanctus, fuga a due cori
- Agnus Dei, a due voci soliste (soprano, mezzosoprano) e coro
- Lux aeterna, tre voci soliste (mezzosoprano, tenore, basso)
VII. Libera me, Domine, solo per soprano, cori e fuga finale
Direttore ROBERTO ABBADO
Soprano ELEONORA BURATTO
Mezzosoprano ANITA RACHVELISHVILI
Tenore GIORGIO BERRUGI
Basso ROBERTO TAGLIAVINI
FILARMONICA ARTURO TOSCANINI
CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Maestro del coro MARTINO FAGGIANI
NOTE DI DIREZIONE
Roberto Abbado
Il Requiem di Giuseppe Verdi è influenzato da un modo di vivere la religione cattolica profondamente radicato nella cultura italiana, cui ogni fedele deriva il proprio rapporto con Dio, il suo modo di pregare, di rivolgersi a Dio.
Scritto per l’anniversario della morte di Manzoni, una ricorrenza particolarmente sentita da Giuseppe Verdi, che ha forse accentuato il suo bisogno di scrivere una composizione sacra, questo Requiem denota quindi una sensibilità del tutto peculiare, “immersa” nel cattolicesimo italiano.
Il cattolico italiano coltiva un rapporto con Dio quasi Dio non fosse soltanto un’entità superiore ma anche un essere umano, sebbene superiore. Si rivolge a Dio, come se Dio fosse tra noi. E così, nel Requiem, Verdi, pregando, supplicando di essere salvato- nel Requiem le suppliche sono molte – chiedendo il riposo eterno, e di essere liberato nel momento del giudizio universale, rivela anche, in fondo, di pretendere che Dio ascolti le sue suppliche.
Nel Requiem, Verdi non ha paura di mostrare che è terrorizzato dall’idea della morte.
Dalle prime quattro misure della Messa, dal primo intervento del coro (la richiesta di darci eterno riposo), fino all’ultima nota del Requiem, c’è un progetto continuativo. Dalla prima parola, che è proprio “Requiem”, fino al “Libera me”: il soprano intona per tre volte “Libera me, Domine, de morte aeterna”. La prima volta, in modo molto drammatico, la seconda, dopo la bellissima sezione a cappella, che riprende la musica dell’inizio della messa (primo movimento), urla, grida le stesse parole a Dio. E l’ultima volta, proprio alla fine, le sussurra, senza più forze: sono parole svuotate, e non c’è quasi più speranza. Seguono poi due invocazioni mormorate dal coro, “Libera me, libera me”, in do maggiore. E qui arriviamo a un punto importantissimo. Perché il do maggiore è invece è una delle tonalità più luminose e positive che ci siano – è la tonalità della Jupiter di Mozart per esempio, il cui ultimo movimento rappresenta il trionfo della ragione umana; una costruzione meravigliosa, grandiosa, luminosissima, positivissima. Questa stessa tonalità, Verdi la sceglie per terminare questa messa, in un modo sospeso, senza dare alcuna risposta alle domande espresse lungo l’intera messa. Verdi non sa, dubita. O meglio, forse non sa se dubitare oppure no. La Messa da Requiem termina quindi con un punto di domanda, su questi accordi di do maggiore, con una soluzione grandiosa. Verdi riesce infatti a trasmetterci questo senso di dubbio, pur usando una tonalità così luminosa. E grazie a lui, il do maggiore non sarà mai suonato così incerto e dubbioso, come in questo caso.
Il rapporto tra gli esseri umani e Dio, in questo Requiem, è un rapporto che diventa spesso molto drammatico, tanto più che Dio qui risponde sempre allo stesso modo: la voce di Dio è quella del “Dies Irae”, con i quattro accordi violentissimi di tutta l’orchestra, quale tutta risposta alle nostre preghiere. Una sezione che ritorna peraltro quattro volte lungo tutta l’opera, e sempre con i contrattempi della gran cassa, di grande effetto drammatico, ad aggiungere terrore a terrore. La risposta di Dio è senza pietà, violenta.
Le preghiere, le petizioni, la supplica di essere salvato, la vergogna della sofferenza causata a Dio e a Cristo di cui il lavoro è disseminato, non fanno quindi altro che accentuare il carattere estremamente drammatico, poetica, e umano di questa musica. Quest’ultimo essendo forse l’aspetto che più mi colpisce di Verdi: così umano e comprensivo di come siamo fatti, riesce a rendere la nostra umanità in maniera così intensa, e in tutta la sua complessità.
Dopo la drammaticità del Dies Irae, segue il conforto tenero e intimo dell’Offertorio con il mistico momento dell’elevazione (Hostias) e a seguire il Sanctus, che presenta una carattere totalmente opposto al resto della messa: è un Sanctus luminoso, in cui la santità sembra davvero avvolgere tutto il mondo, insieme alla luce, il che contrasta con la “tinta” generale della messa. Questo Sanctus, con il doppio coro è un omaggio alla tradizione polifonica italiana dei cori battenti. Non è una fuga e non avrebbe potuto esserlo, perché una fuga ci sarà, nell’ultimo movimento. Ma questa fuga non è scritta in uno stile bachiano, è una fuga ottocentesca che risente di un’influenza del contrappuntistica francese contemporanea a Verdi.
L’OPERA IN NERO
Giuseppe Martini
All’indomani della sistemazione delle ultime pendenze risorgimentali, Veneto e Roma, la cultura italiana cominciò a interrogarsi sui propri fondamenti identitari e Giuseppe Verdi scoprì non senza sorpresa che quanto aveva fatto fino ad allora non gli era stato sufficiente per assicurarsi un posto sicuro nell’opinione pubblica e nella storia patria. Da qui nasce la Messa da Requiem, che come occasione ufficiale ha il tributo a Manzoni ma come obiettivo non esplicito quello di assicurare al proprio autore un prestigio che solo una grande pagina di musica sacra avrebbe potuto rendere completo. A dire il vero il primo tentativo risaliva a qualche anno prima con la Messa a più mani per Rossini, promossa da Verdi con un colpo d’ingegno per cancellare spiacevoli polemiche nate da una gaffe ministeriale che aveva sistemato Rossini in una posizione da far ombra a tutti, e quei tutti fra cui Verdi bellamente ignorati fra le glorie patrie. Fallito il progetto di far eseguire quella Messa, Verdi dev’essersi accorto di non avere ancora abbastanza carisma per coagulare istituzioni e persone intorno a sé. La Messa per Manzoni – Milano, chiesa di San Marco, 22 maggio 1874 – rappresentava il secondo appello dopo quello sfortunato episodio, con la differenza che questa volta Verdi si ritrovava a disposizione Milano (con cui aveva fatto pace nel 1869 dopo un quarto di secolo) e poteva sfruttare un’immagine rinfrescata dal successo sempre più debordante di Aida. Che abbia riciclato qui il “Libera me, Domine”, il pezzo che aveva riservato a sé nella Messa per Rossini, è di per sé significativo e simbolico: inginocchiarsi di fronte alla gloria italiana – Manzoni aveva già preso il posto di Rossini (che peraltro ancora dormiva il suo sonno eterno a Parigi) – significava di fatto far risplendere su di sé i raggi di quella gloria stessa. Detto questo, non si mette in discussione la sincerità del sentimento di Verdi nei confronti di Manzoni, che come si sa Verdi adorava fin da ragazzo e che conobbe personalmente con un’emozione ai limiti delle lacrime proprio nel fatidico 1868, grazie a un piano ordito dall’amica Clara Maffei e dalla moglie Giuseppina Strepponi. Pochi ricordano che l’incontro avrebbe potuto consumarsi prima in circostanze più prosaiche, quando cioè Manzoni era stato nominato presidente della commissione parlamentare per la revisione della legge sul diritto d’autore, di cui Verdi era uno dei componenti; si era nel 1865 ma Manzoni, poco in salute, decise di rinunciare e non si fece vedere. Verdi avrebbe detto: proprio la forza del… Qualcuno può osservare che se Verdi avesse voluto davvero davvero fare un omaggio a Manzoni avrebbe potuto adeguarsi a un sentimento religioso più congruo all’autore dei Promessi sposi e degli Inni sacri anziché trattare la materia con lo sgomento dell’uomo lacerato dal dubbio e abbandonato dalla fede. Non è questione di sincerità o meno: in arte, tutto è possibile, quando si hanno i mezzi, e Verdi ne aveva finché voleva anche nell’ambito della scrittura sacra – per gli increduli, i Pezzi sacri sono lì a dimostrarlo. Ma una contraffazione del genere non avrebbe portato alcun risultato credibile in un’epoca storica che avvertiva sempre più forte l’attrazione per il qui e l’ora, la materia, la soggettività morale. Il “Credo” di Jago sarà l’apice verdiano di quel sentire diffuso; la faccia oscura della Messa da Requiem.
La faccia illuminata della Messa è invece quella stilistica. Chi osserva con un certo sadico compiacimento che Verdi ha trattato la materia sacra come fosse teatrale rivela e un tendenzioso desiderio di sminuire Verdi, e una certa ignoranza della tradizione musicale italiana. Forse lo Stabat di Rossini è meno operistico? In entrambi i casi, anche se separati da trent’anni e passa, non si tratta di incapacità di uscire da uno stile, ma di una consapevole commistione fra sentimento della fede ed esperienza mondana. Nella Messa questa esperienza ha un colore particolare che in effetti sembra davvero pullulare dalle pagine teatrali di Verdi, persino quelle ancora da farsi. L’“Ingemisco” potrebbe essere un’aria di Don Álvaro, il “Confutatis” starebbe bene in bocca a Monterone (nella prima parte; nella seconda al Grande Inquisitore), il “Rex tremendae” vale la deprecazione per l’assassinio di Riccardo di Warwich, il “Lacrimosa” non sfigurerebbe a Medora o a Giovanna, il “Lux aeterna” potrebbe in effetti cantarlo Violetta in articulo mortis, nel “Domine Jesu” appare sullo sfondo il Nilo del terz’atto; se non ci si mette il giusto pathos, il “solvet saeclum” rischia di fare l’effetto dei cortigiani che stanno per prelevare Gilda. Qualche perfido potrebbe spargere zolfo sul lancinante “Requiem” iniziale nominando “Va, pensiero” (e qualche perfidissimo aggiungendo: ma con sotto il Lohengrin). E il “Mors stupebit” ha tutto di uno di quei monologhi pedanti di Falstaff.
Restano fuori il metallico “Dies irae”, gli sbigottimenti affidati ai silenzi, le tecniche opportunamente distribuite – la variazioni e le fughe e i contrappunti nei momenti giusti – e quell’interpretare il testo con distacco, come la cherubìnea litania del “Sanctus”, che è esattamente il punto in cui si annida il compositore di teatro quando legge la parola prima ancora del sentimento. Che Verdi nella Messa dia il meglio nelle zone più apocalittiche è una questione di temperamento, una cosa che si poteva capire fin da Nabucco e dall’attrazione per la potenza occulta della parola veterotestamentaria. Chi ha certezze non ha attrazione per il mistero. Una strumentazione miracolosamente in bilico fra passato e futuro sottrae però la Messa dall’effetto goticheggiante, allarga a dismisura gli spazi e poi li rimpicciolisce di colpo, annulla la distanza fra l’io e Dio e poi la rende d’un botto incommensurabile, e mette i due in una posizione di scomodi antagonisti. Aleggia una sensazione di gigantografia, e un mostrare il potere immaginifico dell’arte, il saper “piegare la nota”. È il sentimento del tempo, di quel tempo, eppure con una sua potenza affabulatrice universale, per ogni tempo. Da qui la sorpresa di chi vi trova modernità lancinante, altro che il solito teatro. La trasformazione è compiuta: lo stile si plasma sulla materia e cambia connotati. La Messa è perciò qualcosa di più dello scoramento dell’uomo dubbioso di fronte alla morte. È una soffocante visione in negativo della vita, una vita in cui di colpo tutta l’umanità sparisce tranne l’unico essere umano rimasto, chissà se è lui quello vivo e tutti gli altri morti oppure il contrario, mentre la natura non se ne accorge e va avanti come se niente fosse. In questo, in effetti, perfettamente in accordo con tutte le altre opere di Verdi.